A cura di Don Daniele Furlan
20 marzo
Nonostante le incertezze dovute agli sviluppi recenti della situazione nell’area mediorientale, il nostro viaggio alla scoperta del deserto del Negev ha inizio.
Scendiamo verso il Mar Morto per prender poi la strada che ne costeggia la sponda occidentale. Presso la foce del torrente Cedron i resti del porto erodiano testimoniano di quanto sia sceso il livello delle acque da allora. L’area tersa permette di ben distinguere sulla sponda giordana le terme di Kallirhoe.
Procedendo verso sud, passiamo accanto a Masada senza visitarla. Facciamo una breve sosta a ‘Ein Boqeq, dove è possibile accostarci al Mar Morto ed esperire l'elevata concentrazione di sale nell'acqua. Il carattere oggi decisamente inospitale di queste regioni stride con i ritrovamenti archeologici di quest’area, quali ad esempio le necropoli di Bab ed-Dhra sul lato giordano, le quali testimoniano un’importante presenza umana nel bronzo antico.

Facciamo una sosta presso Har Sdom dove si trova la cosiddetta grotta di Lot (oggi non più agibile a causa di crolli) e “la moglie di Lot”, un pilastro di sale e argilla che sporge dal monte. Il clima assai secco della regione permette all’intera altura di non sgretolarsi.
Procediamo il nostro viaggio verso sud. L’ambiente arido limita fortemente la crescita della vegetazione. Tra le poche piante presenti vediamo il tamerisco, in grado di sfruttare terreni salini e di recuperare la poca umidità dell’aria con i suoi aghi, e, lungo i wadi l’acacia. Originario dell’Africa, quest’albero costituiva nell’antichità un’importante fonte di legname per chi riusciva ad abitare questi territori; si pensi al suo impiego per la costruzione dell’arca dell’alleanza e del tempio-tenda durante l’esodo.
Procedendo nel nostro viaggio, raggiungiamo il deserto di Sin. Il wadi omonimo è caratterizzato dalla presenza di numerose sorgenti perenni. Tali punti d’acqua dovettero senz’altro avere un carattere determinante per chi nell’antichità avesse voluto spostarsi dall’Egitto al Canaan attraversando il Negev. Siamo in piena Araba. Da -400 m sul livello del mare la depressione sale lentamente fino a 200 m, per poi ridiscendere al livello del mare presso Eilat.

Ci fermiamo presso ‘En Ḥaẓeva. Tra le rovine del tell sono visibili alcune strutture di età “salomonica”, costituite da un basamento in pietre grezze, sul quale si sviluppano i resti di un muro di mattoni crudi. Distrutto più volte, il sito fu abitato fino all’epoca bizantina, come testimoniano i resti di una fortezza a pianta quadrata, eretta a protezione delle vie carovaniere. Di particolare interesse è il cosiddetto tempio edomita, una struttura ai piedi del tell dove furono rinvenuti anche un altare e alcune stele.

Dopo una sosta alla Salita degli scorpioni (Ma‘ale Aqrabim), procediamo per Mampsis. Sorta come stazione carovaniera nabatea nel I sec. d.C., fu fortificata nel periodo bizantino. La presenza di un torrente rendeva il luogo ideale per l’insediamento umano. Il vento forte, carico di polvere, e le nuvole, foriere di pioggia, oscurano il sole e contribuiscono ad abbassare notevolmente la temperatura, dandoci un assaggio del freddo che si può provare in un ambiente desertico. Dopo il pranzo partiamo alla volta del Kibbutz Mashabin ove saremo ospitati per due notti.
21 marzo
Il secondo giorno d’escursione comincia con la visita del Wadi Avdat. L’incontro con un cucciolo di ibex che scende al torrente per abbeverarsi tra la vegetazione ci offre un esempio di come queste lande, apparentemente desolate, siano in realtà luoghi pieni di vita. Lontano dalle città, il Wadi Avdat fu anche luogo di vita monastica e contemplativa, come testimoniato da alcune celle ricavate dalle grotte, che si sviluppano lungo la parete rocciosa del canyon.

Lasciato il silenzio ieratico del Wadi procediamo per le rovine di Avdat. Edificata dai nabatei nel II sec. a.C. e dedicata al re Oboda, fu luogo di sosta per le carovane che procedevano verso Gaza. La conquista di quest’ultima da parte di Alessandro Ianneo verso il 100 a.C. segnò un periodo di declino per Avadat terminato nel I sec. d.C., quando, morto Erode, il re Areta IV riuscì a ripristinare la rotta commerciale verso il Mediterraneo. Il campo militare della città fu ampliato dai Romani. Significativa per l’epoca romano-bizantino era la produzione vinicola, testimoniata dalla presenza di strutture per la pigiatura dell’uva, la fermentazione del mosto e lo stoccaggio del vino. Sono ben due le chiese d’epoca bizantina rinvenute dagli archeologi. Tra queste una è situata sul lato meridionale dell’acropoli. Qui sono presenti alcuni sepolcri con epitaffio. Uno di questi ci informa che il luogo di culto era dedicato a San Teodoro. La chiesa settentrionale fu costruita sopra una cisterna ed era munita di battistero.
Terminata la visita ad Avdat ci dirigiamo verso il Kibbutz di Sde Boqer per pranzare. Qui visse, morì e fu sepolto David Ben Gurion, fondatore dello Stato di Israele.
Nel pomeriggio ci rechiamo a Shivta, insediamento nabateo edificato nel I sec. a.C. lungo la via che collegava Elusa con Avdat. A causa dell’orario d’apertura ridotto (è venerdì pomeriggio e il sito chiude alle 15) la visita è breve. Un particolare interessante è costituito dall’abside della chiesa nel lato meridionale della città, dove gli archeologi hanno rinvenuto tracce di pitture (probabilmente l’episodio della trasfigurazione). Lo stato di conservazione assai precario delle pitture non ci permette tuttavia di scorgere molto.

Ci rechiamo a Nessana. Il sito è particolarmente importante per i papiri ivi rinvenuti. Tra questi troviamo testimoni di opere classiche ma anche documenti, quali ad esempio lettere, che ci offrono uno spaccato della vita nel Negev nel VI-VII sec. d.C. Poco resta dell’acropoli bizantina. Questa fu in parte distrutta in epoca ottomana per erigere una base militare sulla collina, allora d’interesse strategico.
Dopo la visita torniamo a Mashabim per passarvi la notte. Fondato nel 1947 presso le dune di Elusa, il Kibbutz fu distrutto dalle truppe egiziane nel 1948. Al termine della guerra fu ricostruito poco più a sud-est. Pur trovandosi in pieno deserto, il Kibbutz annovera tra le sue attività quella dell’acquacoltura.
22 marzo
Il programma originario dell’escursione avrebbe previsto per questo giorno la visita a Har Karkom. A causa della difficile situazione, l’area, in uso alle forze armate, è preclusa al pubblico. Ci rechiamo pertanto al cratere di Mizpe Ramon lungo la via che porta a Eilat. Caratterizzato da una singolare forma di cuore, il Cratere di Mizpe Ramon è il risultato dell’erosione prodotta da torrenti e vento. Sfruttato in epoca moderna per le sue variegate risorse minerarie, è oggi un parco naturale. La presenza di minerali caratteristici delle zone tropicali testimonia il moto delle placche tettoniche. Le piogge invernali così come la presenza di wadi favoriscono la crescita della vegetazione, perlopiù acacie e arbusti, alcuni dei quali commestibili. La frequentazione da parte dell’uomo di quest’area, solo all’apparenza inospitale, è assai antica. All’epoca del bronzo appartiene un tempio a forma absidale, costituito da stele e situato ai piedi d’uno dei monti che si stagliano sul cratere. Accanto ad esso un recinto di pietre a pianta quadrangolare con al centro un cerchio di pietre più piccolo indica la probabile presenza in origine di un albero sacro. Tale tipologia di Tempio è frequente nel Negev.

Presso il Wadi Ramon visitiamo le rovine di un caravanserraglio d’epoca nabatea. Siamo del resto sul tratto della via dell’incenso che portava ad Avdat. Il silenzio del deserto, rotto soltanto dal fischio del vento, insieme alla colorazione variegata delle colline plasmate dall’erosione, conferiscono al cratere un aspetto maestoso di fronte al quale meraviglia e timore si fondono. Il Creatore si esprime creando.
Terminata la visita ci rechiamo a Eilat dove pernotteremo e che raggiungiamo in tarda serata.
23 marzo
L’ultimo giorno della nostra escursione inizia con la visita al museo oceanografico tra peci colorati e altre meraviglie marine.
Il nostro viaggio procede poi alla volta di Timna. Qui visitiamo le miniere di rame. Nei cunicoli, ai quali si accede tramite alcuni pozzi di discesa poco profondi, è ancora possibile scorgere tracce delle vene del minerale dal quale si estraeva il rame. Proseguiamo poi verso il tempio di Hator. La presenza di stele così come altri reperti tra i quali un serpente di rame testimoniano la frequentazione del luogo da parte di semiti. È ancora riconoscibile sulla parete della roccia presso il piccolo santuario un’incisione rupestre raffigurante il faraone Ramses III al cospetto della dea Hator. I resti di un secondo tempio, questo chiaramente legato a culti semitici, si trovano nel villaggio dei minatori. Sono riconoscibili, oltre il recinto sacro, alcune stele, un bacino cultuale e le tavole per le offerte. Nell’abitato visitiamo le rovine dei forni utilizzati per la lavorazione del minerale. Si tratta di pozzetti nei quali il minerale veniva riscaldato con l’ausilio di mantici. Una canaletta permetteva la fuoriuscita delle scorie, mentre il metallo si depositava nel fondo. Una volta raffreddato, il disco di rame formatosi nel processo di fusione era pronto per essere trasportato. Frammenti di scorie della lavorazione del metallo sono disseminati per tutta l’area.
Con la visita al complesso minerario di Timna la nostra escursione volge al termine. Si torna a Gerusalemme. Approfittiamo di una breve pausa sulle rive del Mar Morto per scattare una foto di gruppo in ricordo del nostro viaggio, un po’ affaticati ma ricchi delle esperienze fatte e delle conoscenze acquisite in queste giornate intense alla scoperta del deserto del Negev.
