A cura di P. Luca Di Pasquale
Foto P. Enrico Maiorano
“Se solo queste pietre potessero parlare” è un’espressione che spesso abbiamo ascoltato da altri o che noi stessi abbiamo pronunciato. Ma quando si visitano parchi archeologici, soprattutto qui in Terra Santa, si scopre che davvero le pietre possono parlare, testimoniando il passaggio di popoli, culture e religioni che ci hanno preceduto.
Dopo circa un anno e mezzo di interruzione a causa della pandemia, il corso di escursioni biblico-archeologiche in Terra Santa, tenuto dal professor Massimo Luca, è ripartito con un maggior slancio e desiderio da parte degli studenti dello Studium Biblicum Franciscanum. Dopo aver visitato diversi luoghi della Giudea, del Golan, della Samaria e della Galilea, il corso prevede un’uscita di quattro giorni nel deserto del Negev per poter conoscere i siti che hanno caratterizzato la storia biblica di questa regione.
La partenza è stata fissata per il giorno 31 Marzo 2022. L’appuntamento era alle ore 7.30 presso la porta di Damasco (Gerusalemme). Dopo aver preparato i nostri bagagli con l’indispensabile per affrontare il sole del deserto, siamo partiti in direzione sud, verso la regione del Mar Morto. Dal momento che il viaggio era piuttosto lungo, è sembrato indispensabile fare una sosta ricreativa presso En Boqeq. Da qui abbiamo proseguito per osservare da vicino il monte di Sedom, o meglio, ciò che rimane della nota località biblica di Sodoma. Questa montagna è costituita interamente da sale cristallizzato ed è presente una grotta, oggi non più accessibile a causa di continue frane, e vicino ad essa una colonna di sale, conosciuta come “la moglie di Lot”.
Andando avanti abbiamo visitato En Hatzeva, la biblica Tamar, confine meridionale della Terra Promessa. Quello che abbiamo trovato in questa oasi desertica è una testimonianza archeologica di ben sette periodi storici che si sono armonizzati tra loro senza distruggere quanto costruito precedentemente. Era una comoda sosta per le carovane di cammelli che trasportavano merci lungo la “via dell’incenso”. Abbiamo visitato la più antica casa israelita con quattro stanze, risalente al tempo di Abramo, le terme romane e le mura della fortezza, oltre a una riproduzione abbastanza fedele della tenda del convegno del popolo ebraico durante il suo esodo.
Il nostro viaggio è proseguito per Mamshit, un’antica città che compare nel mosaico di Madaba, in Giordania. Un primo insediamento fu stabilito qui nel periodo nabateo. Gli stessi edifici continuarono ad essere utilizzati durante il periodo tardo romano. Di notevole importanza sono le due chiese, la chiesa di S. Nilo e quella dei Martiri, costruite all’inizio del V secolo d.C. e officiate fino all’invasione persiana o alla conquista araba.
Per concludere il primo giorno di escursione ci siamo fermati ad ammirare la bellezza naturale del grande cratere (Hamaqtesh hagadol), un cratere di formazione erosiva. Stanchi, ma arricchiti da quanto visto e appreso siamo finalmente giunti al Kibbutz Mashabim, nel bel mezzo del deserto del Negev, che ci avrebbe ospitati per due notti.
Dopo una lauta colazione, siamo ripartiti con il nostro autobus per intraprendere il secondo giorno di esplorazione. È il venerdì 1° Aprile. La prima tappa è il parco di En Avdat che si estende intorno al Wadi Tsin, ai margini settentrionali dell’altopiano di Avdat. Nei punti in cui i wadi che attraversavano l’altopiano dell’Avdat si intersecavano con il Wadi Tsin, il dislivello ha creato terrazze rocciose e alte cascate. L’erosione alla fine si è tradotta in profondi canyon con scogliere imponenti come l’En Avdat Canyon che abbiamo raggiunto dopo circa due ore di camminata. Ammirando lo splendore del paesaggio che si svelava a noi passo dopo passo e le antiche grotte abitate dai monaci, è stato possibile comprendere la Scrittura quando dice: “Riconduci, Signore, i nostri prigionieri, come i torrenti del Negev” (Sal 125,4).
Terminata la nostra visita al parco, non potevamo non visitare anche l’antica città di Avdat, anch’essa localizzata lungo la “via dell’incenso”. Nacque come un piccolo insediamento nabateo che permetteva ai commercianti di incenso di sostare sicuri tra le mura della fortezza. Durante il periodo romano e bizantino Avdat crebbe diventando un grande villaggio che viveva di agricoltura (soprattutto la coltivazione dell’uva) e attingeva acqua grazie ad alcune cisterne. È stato possibile visitare antiche chiese cristiane e un accampamento militare romano importante. All’inizio del VII secolo d.C. il villaggio fu abbandonato a seguito di un grande terremoto.
Prima di concludere il nostro viaggio lungo la “via dell’incenso” è stato possibile raggiungere altri due villaggi molto vicini al confine odierno con l’Egitto: Shivta e Nitzana. Shivta è un gioiello nel deserto del Negev. È molto ben conservato, tanto che ancora oggi sembra di poter camminare dentro un villaggio vivo e rendersi conto degli spazi che tante generazioni hanno attraversato. Anche qui sono visibili grandi cisterne che raccoglievano l’acqua piovana e chiese bizantine che accoglievano i pellegrini che andavano e venivano verso il monastero di Santa Caterina. Sul calar del giorno, infine, abbiamo raggiunto Nitzana, anch’esso di origine nabatea e luogo d’importanza per il commercio lungo la rotta da Eilat a Gaza. Anche qui sono visibili i resti di due chiese, l’una dedicata ai santi Sergio e Bacco e l’altra alla Vergine Maria.
Il giorno 2 Aprile è stato un po’ il cuore di tutta la visita al Negev. La partenza era prevista per le 5 del mattino, non avevamo tempo neanche per fare colazione, tanto che i responsabili del Kibbutz ci hanno preparato qualcosa da mangiare al sacco. La strada era lunga e la meta era difficile da raggiungere. Nonostante il sonno ancora incombente, abbiamo goduto l’alba e alcuni animali del deserto. Ad un tratto però abbiamo dovuto abbandonare l’autobus perché non era più in grado di portarci a destinazione. Il nuovo mezzo da prendere erano le jeep. Alcuni uomini locali ci hanno portati con questi mezzi fino ai piedi di Har Karkom, un importante monte, sacro sin dal Paleolitico come attestano alcuni graffiti e santuari presenti in loco. Ed è proprio qui che, con i nostri zaini, abbiamo letteralmente scalato il monte per lasciarci avvolgere da un sacro silenzio. Alcuni, tra cui il prof. Anati che ha scavato proprio qui, ritengono che questa montagna sia il biblico Monte Sinai. Non abbiamo certezze, seppur alcuni segni possano confermare questa ipotesi. Certo è che vedere i segni di accampamenti ai piedi del monte, come anche diversi graffiti sulle pietre che testimoniano la sacralità del luogo (ad esempio persone con le mani elevate in atteggiamento di preghiera, immagini di animali come l’ibex o il serpente, …) ci hanno interrogato e anche commossi. Arrivati quasi in vetta abbiamo potuto ammirare la magnificenza del deserto di Paran e, una volta scesi, gli uomini delle jeep ci hanno accolto con un tipico banchetto locale per rifocillarci e riposare un po’.
La sera non saremmo tornati a dormire al Kibbutz, bensì, riprese le jeep e poi l’autobus, abbiamo proseguito per Eilat, nell’estremo sud di Israele. Giunti qui alcuni bambini dell’albergo che ci avrebbe ospitati ci hanno regalato alcuni disegni fatti da loro per accogliere finalmente dei turisti che da troppo tempo non si vedevano da queste parti a causa della pandemia. Da questa città turistica è possibile vedere la Giordania, l’Arabia Saudita e l’Egitto che si incontrano nel Mar Rosso con Israele in corrispondenza del Golfo di Aqaba. Un paesaggio unico che ha accompagnato l’ultima sera vissuta insieme e la celebrazione domenicale del giorno dopo, 3 Aprile.
Così siamo giunti all’ultimo giorno. È stata l’occasione per visitare il Museo oceanografico di Eilat, un tesoro che raccoglie molte specie di pesci che non sarebbero visibili altrimenti. A metà mattinata riprendiamo la nostra escursione per l’ultima tappa lungo la via di ritorno: Timna, oggi essa è un parco nazionale caratterizzato dal colore rosso della pietra che investe il visitatore. Un tempo quest’area era adibita a miniere di rame e alla lavorazione del bronzo al tempo di Sethi I, come testimoniano i tunnel scavati e le riproduzioni degli strumenti da lavoro. Oltre ai disegni fatti sulla pietra a causa delle erosioni, è stato possibile ammirare le cosiddette colonne di Salomone e il tempio egiziano-madianita dedicato alla dea Athor.
È ormai ora di pranzo e, dopo un buon gelato, siamo ripartiti per tornare di buon’ora a Gerusalemme, anche perché l’indomani avremmo avuto lezione in Facoltà.
Al termine di questa esperienza non possiamo che ringraziare la Facoltà e il professor Massimo Luca. Davvero possiamo dire che ciò che abbiamo visto non può essere taciuto. Ogni volta che apriremo la Scrittura o ascolteremo la storia del popolo d’Israele non potremo non ricordare quello che i nostri occhi hanno visto perché siamo stati alla scuola del Quinto Vangelo, la Terra Santa.