S. Messa di apertura dell’Anno Accademico 2024/2025

Giovedì 3 ottobre 2024 nella chiesa di San Salvatore a Gerusalemme è stata celebrata la S. Messa di inaugurazione dell’Anno Accademico 2024-2025, presieduta da P. Rosario Pierri, Decano dello SBF, alla presenza di docenti e studenti dello Studium Theologicum Jerosolymitanum e dello Studium Biblicum Franciscanum.

Al termine della celebrazione eucaristica il Decano ha consegnato la medaglia commemorativa del centenario dalla fondazione dello SBF a docenti, studenti e personale ausiliario.

 

Omelia di P. Rosario Pierri

Letture: Gb 19, 21-27; Sal 26; Lc 10, 1-12

Carissimi,

al mio posto ci sarebbe dovuto essere S. Ecc. Mons. František Trstensky, ex studente dello Studium, Vescovo di Spiš in Slovacchia. Ieri mancavano 15 minuti all'atterraggio, quando l’aereo diretto a Tel Aviv ha fatto rotta d’urgenza a Larnaca, per le note ragioni che abbiamo udito e visto dal vivo anche noi tutti. Non ha trovato un posto nei voli successivi che lo conducessero in Terra Santa ed ha fatto ritorno in patria.

Gli siamo profondamente riconoscenti per avere accettato l’invito, benché la situazione politica sia molto tesa e incerta. È stata da parte sua una dimostrazione di affetto e stima verso la nostra Facoltà, che gli fa onore e che non dimenticheremo. L’incontro è solo rimandato ad altra data.

Qualche breve parola sulle letture del giorno.

Nel percorso di lettura dei brani scelti dal Libro di Giobbe propostici dalla liturgia nei giorni scorsi, il testo di oggi si pone come una conclusione in forma di invocazione. È un’invocazione sofferta ma lirica, dalla quale traspira speranza da ogni parola, da ogni singola sillaba. Un brano che ha pochi eguali per intensità espressiva.
Il ferro, il piombo, la roccia su cui dovrebbero essere incise le parole di Giobbe, il rotolo non bastano, dicono tutta la sofferenza vissuta con rassegnazione e con animo incrollabile da quest’uomo messo alla prova fino all’inverosimile.
Eppure quale speranza, quale fede sul quel volto rigato da lacrime che guarda verso il cielo, sicuro che il suo redentore non lo deluderà: è lì che lo attende per accoglierlo e asciugargli il volto.
"Vedrò Dio", questo è il suo e nostro destino; "... i miei occhi lo contempleranno", solo questo destino dà ragione del dolore e del perché vada accettato.
La vita di Giobbe è segnata dalla resa definitiva nei confronti di Dio ma anche del mistero che è la vita, le cui trame sono per lo più oscure all’uomo ma sono sempre evidenti dinanzi a Dio. Giobbe, si può dire, ha appreso la lezione ed ammette, da grande uomo di fede qual è, che non aveva capito questa semplice ed evidente verità: solo Dio, che è creatore, conosce il significato di tutte le cose. Nella vita del nostro sapiente vi era stata fino a un certo punto come una scissione tra sapere le cose di Dio e conoscere Dio, tanto che altrove esclama: "Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto. Perciò mi ricredo e mi pento sopra polvere e cenere" (Gb 42,5-6).
Preghiamo Dio che ci preservi dal dire cose vane su di Lui e sulla fede, e di non ergerci mai a giudici del suo operato. Ci doni umiltà e discernimento.

Quando è giunta l'ora, bisogna partire, affrontare il mondo, anche il più ostile. Gesù invia altri discepoli oltre gli apostoli a evangelizzare. Sa che sono pronti per questa missione perciò li manda, non senza avvertirli, tuttavia, che non sempre saranno accolti, come non è stato accolto lui. Non sarà una marcia trionfale, li attendono fallimenti e delusioni insieme ad accoglienza e benevolenza. Per ora è la terra di Israele il campo di seminagione del Vangelo, dopo la resurrezione sarà il mondo.
Per una grande messe occorrono tanti operai, e sembra che non siano mai sufficienti. Il padrone della messe è Dio e Dio può tutto, ma Gesù dice ai discepoli che devono pregare perché il 'signore' della messe mandi ancora altri operai per la raccolta. E per quale ragione un operaio dovrebbe pregare il padrone perché assuma altri operai per lavorare nel campo? Non sa da se stesso, forse, il padrone che gli operai sono insufficienti e che buona parte del raccolto potrebbe andare perduta senza l’aiuto di altre braccia? Può darsi che mi sia posto una domanda errata, ma non credo sia del tutto fuori posto, se si pensa alla relazione tra Dio e la sua Chiesa. È lui che la santifica e la sostiene, ma spetta anche ai vari membri che concorrono a formare la Chiesa, e quindi anche a noi, di preoccuparsi della messe, porre all’apice della vita di fede l’amore verso Dio e verso il prossimo, e di quest’ultimo la salvezza dell’anima.

Permettetemi ora di concentrarmi più direttamente sulla nostra scuola.

Ci ritroviamo oggi a celebrare la messa di apertura del nuovo anno accademico alla vigilia del Transito di San Francesco. Quale felice coincidenza! Il Signore che ci assiste sempre con grande benevolenza ha voluto che ci riunissimo in questo giorno per ricordarci la comune appartenenza al carisma francescano, per quanti sono frati, e il forte legame esistente tra la Custodia, lo Studium e quanti, a diverso titolo, si uniscono a noi francescani e contribuiscono a formare il corpo docente e discente della Facoltà. Un caro saluto al personale ausiliario per il prezioso contributo offerto alla vita e alla gestione delle nostre istituzioni accademiche, lo Studium Biblicum Franciscanum e lo Studium Theologicum Jerosolymitanum.

Si apre sì un nuovo anno accademico, ma è doveroso ricordare che ci siamo lasciati alle spalle l’anno del Centenario della fondazione dello Studium Biblicum Franciscanum. Tale celebrazione ci ha permesso di consolidare l’identità di appartenere a una scuola, che dal lontano 7 gennaio 1924, giorno della sua inaugurazione, ne ha fatta di strada!

Benché l’abbia ricordato più volte nel corso degli eventi commemorativi del Centenario, e capirete il perché, carissimi, riprendo un passaggio del discorso pronunciato in quella occasione dall’allora Custode di Terra Santa, padre Ferdinando Diotallevi, che trovo particolarmente toccante. Padre Diotallevi a un tratto scrive: “Lo Studio si apre con pochi professori… e pochi studenti… Ma chi vorrà giudicare il meriggio dal primo levar del sole? Forse non tutte le vette sono state illuminate”. Queste parole, nelle quali si riflettono come i primi bagliori di un’aurora pervasa di speranza, le ho commentate in questo modo: "Lo Studium nasceva a poca distanza dalla Spianta del Tempio e l’intrepido Custode aveva inteso ispirarsi all’esortazione del profeta Zaccaria a favore dell’opera di ricostruzione del Tempio intrapresa da Zorobabele: «Chi oserà disprezzare il giorno di così modesti inizi? (Zc 4,10)». Quante vette sono state illuminate da allora!".
Lo Studium, pertanto, è una creatura della Custodia, e noi che componiamo questa grande famiglia possiamo forse trascurare le nostre radici? Una serie di documenti ecclesiali e di eventi, che ora non è il caso di ricordare con sistematicità, hanno condotto i nostri predecessori, e parlo anche di quelli di secoli fa, a maturare la consapevolezza di essere "custodi" di quanto è connesso alla Terra Santa alla luce della Sacra Scrittura e delle Tradizioni storiche e locali. Va riconosciuto che, come avvenuto in passato, anche noi oggi possiamo avere delle preferenze, pensare a una gerarchia di interessi, per cui siamo indotti a concentrarci su quanto riguarda il Cristianesimo. È un dato di fatto, tuttavia, che da secoli i frati convivono con popolazioni di altre religioni, e la nostra presenza è stata e deve essere testimonianza della nostra fede. Nulla che riguarda la Terra Santa deve esserci indifferente. Nello stesso tempo dobbiamo assolvere senza timore alla nostra missione evangelizzatrice, che si attua in vari modi, non ultima nella formazione culturale e professionale offerta ai nostri studenti.

La provvidenziale prossimità alla celebrazione del Transito del serafico Padre San Francesco ci invita a riflettere sulle origini della nostra missione in Terra Santa. Prendo spunto dal viaggio intrapreso da San Francesco nel 1219.
La storiografia ci presenta tale viaggio come una semplice intuizione del serafico Padre. San Francesco desiderava conformarsi a Cristo con il martirio, ma il suo arrivo in Terra Santa, così importante per la storia della Chiesa e non solo del nostro Ordine, fu certamente ispirato dall’Alto. San Francesco non venne in questa terra di sua iniziativa, anche se i testi ci dicono così, ma fu mosso dallo Spirito. Le vicende non andarono come avrebbe voluto, non fu martirizzato né ci fu la pace, ma furono consolidate le basi di quella entità che poi doveva diventare la Custodia di Terra Santa.

In una simile visione la nostra missione acquista contorni più netti e realistici. Se desideriamo comprendere e comporre in unità l’opera della Custodia nel suo insieme, è necessario guardare alla sua storia e alle sue diverse opere in tale prospettiva, per scoprire, nonostante gli innegabili limiti, che la sua forza è stata ed è la capacità di combinare la carità (nelle sue svariate forme) con la preservazione dei luoghi santi, le celebrazioni liturgiche (antiche e nuove), con la formazione teologica e biblica. Non è poco e non è casuale. Una ricchezza che va preservata e rivalutata in primo luogo da noi frati stessi.

Alla luce di quanto si è detto, carissimi, la canonizzazione dei Martiri di Aleppo fissata a Roma per il prossimo 20 ottobre, si inserisce in questo disegno voluto da Dio, nel quale si incastona, in misura certamente più modesta ma armonica, la missione della nostra Facoltà. Il loro sacrificio e quello di tanti altri nostri confratelli, morti per testimoniare la loro fede in Cristo e nell’adempimento dell’assistenza ai poveri e ai malati, non è un evento separato dalla nostra attività, anzi, ne rappresenta la linfa vitale che concorre a nutrire il nostro servizio quotidiano. Questa credo rappresenti una concreta realizzazione di una teologia integrale.
La loro testimonianza diventi per noi tutti e per le nostre istituzioni accademiche benedizione da parte dell’Altissimo, al quale va ogni onore e gloria nei secoli dei secoli.