Presentatione del libro “One Land. Many Cultures”

In onore di P. Stanislao Loffreda, Professore Emerito dello SBF

Stanislao Loffreda (a sinistra) con il Custode di Terra Santa, P. Giovanni Battistelli (al centro), e il suo vicario, P. Castor García (a destra)
Stanislao Loffreda (a sinistra) con il Custode di Terra Santa, P. Giovanni Battistelli (al centro), e il suo vicario, P. Castor García (a destra)

La presentazione di un libro in onore di un professore è un’occasione per ricordare il suo prezioso contributo nella ricerca e nella docenza.

P. G. Claudio Bottini, Decano della Facoltà
Saluto iniziale

Signore e signori, amici, professori e studenti, benvenuti alla presentazione del volume One Land – Many Cultures. Archaeological Studies in Honour of Father Stanislao Loffreda.

Un saluto speciale rivolgo alle autorità ecclesiastiche, al Custode di Terra Santa Padre Giovanni Battistelli, al Rettore Magnifico del Pontificium Athenaeum Antonianum di Roma e agli studiosi delle altre università e istituzioni archeologiche, bibliche e teologiche della Terra Santa. La vostra presenza ci onora e ci incoraggia.

Il pensiero grato va a tutti gli archeologi che hanno collaborato al volume con i loro contributi scientifici e in primo luogo a quelli israeliani che sono i più numerosi. Penso non solo a quelli presenti ma pure ai collaboratori e amici che ci ha hanno espresso la loro vicinanza e il loro rammarico per non poter partecipare a questo incontro.

Ringrazio il professor Yoram Tsafrir per aver accettato l’invito che gli ho rivolto a nome dei professori dello Studium a presentare la Festschrift in onore di Padre Stanislao Loffreda. Anche come curatore della miscellanea sento il bisogno di ringraziare l’infaticabile Leah Di Segni e padre Daniel Chrupcala che con me hanno condiviso la gioia e la responsabilità del lavoro editoriale, nonché i confratelli Michele Piccirillo, Eugenio Alliata e Carmelo Pappalardo e il nostro studente Fredy Eluvathingal che in vari modi ci hanno aiutato nella preparazione del volume per la stampa.

Il ringraziamento va pure allo Studio Editoriale Ferrari di Cologno Monzese per il progetto grafico e alla Franciscan Printing Press della Custodia di Terra Santa per la stampa del libro. A padre Raymond Camilleri, Direttore della FPP, siamo grati anche per l’offerta con speciale sconto delle pubblicazioni di padre Loffreda e di altri titoli.

Presentatione. One Land Many Cultures

Ringrazio infine il Superiore del Convento di San Salvatore, padre Artemio Vítores, per aver messo a nostra disposizione questo Auditorium.

Noi dello SBF siamo proprio felici di segnare l’inizio dell’anno accademico 2003-2004 con questo incontro che ci permette di festeggiare un nostro professore emerito presentandogli l’omaggio di un volume frutto di una molteplice collaborazione. È infatti la terza volta che in poco più di dieci anni lo Studium riesce a realizzare una miscellanea di studi ricevendo la collaborazione di una schiera di studiosi e ricercatori varia per provenienza, cultura e appartenenza accademica. Questo avvenne nel 1990 con la miscellanea Christian Archaeology in the Holy Land in onore del defunto padre Virgilio Corbo e nel 1993 con Early Christianity in Context in onore di padre Emanuele Testa.
Dei meriti di padre Stanislao non mi azzardo a dire nulla, perché so per esperienza che al fumo degli onori e dell’incenso preferisce la polvere degli scavi archeologici. Inoltre giorni fa mi diceva scherzosamente che il 9 novembre non sarebbe stato il giorno più allegro della sua vita. Forse perché gli ricorda che ha superato i 70 anni?

Poiché questo incontro prende il posto della prolusione dell’anno accademico, mi sia permesso dare qualche informazione sull’anno iniziato da poco. Dopo la celebrazione liturgica di apertura tenuta il 6 ottobre scorso, abbiamo iniziato regolarmente i corsi in tutte e tre le sedi accademiche. In totale gli studenti della Facoltà sono 119, di cui 59 iscritti al Primo Ciclo e 60 iscritti ai cicli di specializzazione. I nostri studenti provengono da trentaquattro paesi sparsi nei cinque continenti. Ci incoraggia constatare soprattutto l’aumento degli studenti iscritti al corso per la Licenza. Prevediamo che nel corrente anno accademico almeno due studenti concluderanno i loro studi con la Laurea, quattro con la Licenza e oltre dieci con il Baccalaureato.

Termino con un augurio che trae spunto dal titolo del libro che presentiamo ufficialmente. Esso dice felicemente One Land – Many Cultures = Un Paese – Molte Culture. Le ricerche archeologiche di padre Loffreda hanno toccato luoghi di interesse archeologico e religioso che testimoniano la presenza di molte culture e tradizioni. Lo stesso fanno i trentadue contributi della miscellanea. Una Facoltà di Scienze Bibliche e di Archeologia non ha compiti di natura politica e neppure ha lo scopo immediato di promuovere il dialogo interreligioso. Siamo tuttavia convinti che anche con questi gesti e incontri sul piano della ricerca scientifica gettiamo semi di speranza per un futuro migliore per tutti coloro che abitano la Terra Santa a qualsiasi popolo, religione o cultura appartengono.

Voglia l’Altissimo che “è Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,6) benedire il nostro proposito e tutte le persone di buona volontà.
Grazie.

 

P. Marco Nobile, Rettore del Pontificio Ateneo Antonianum, Roma
P. Stanislao Loffreda, professore e archaeologo dello SBF

Presentatione. One Land Many Cultures

Illustri Ospiti, Cari Colleghi e Confratelli, mi è particolarmente gradito essere presente oggi a questa circostanza accademica e salutare tutti calorosamente, per vari motivi. Alcuni sono motivi di ordine istituzionale, altri, non meno importanti, di ordine personale.
Sono innanzi tutto lieto di compiere il mio dovere di rettore del Pontificio Ateneo Antonianum di Roma, venendo a visitare la comunità accademica della Facoltà di Scienze Bibliche e di Archeologia, la quarta Facoltà del nostro Ateneo, che ha raggiunto già due anni dalla sua recente erezione, alla cui festa celebrativa ho pure avuto la gioia di partecipare.

Sono inoltre contento di presenziare a questo atto accademico, con cui si vuole tributare onore e riconoscenza, nel suo 70° genetliaco, al Padre Stanislao Loffreda, OFM, archeologo di fama che ha illustrato il nostro Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme con la sua instancabile attività di studioso, di docente e di direttore dello stesso Studio per lunghi anni: dal 1978 al 1990. Sulla sua qualità di studioso abbiamo la testimonianza della vasta produzione descrittiva e interpretativa dei suoi lavori, per i quali egli ha raggiunto fama internazionale: penso a Tabgha, a Kafr Kanna, a Magdala, a Macheronte, ma soprattutto a Cafarnao, dove egli ha profuso in modo tutto particolare le sue energie, come dimostra la sua attività ancora vivace esercitata negli scavi di quella località.

Ma se per la lode dei suoi traguardi scientifici, lascio la parola ai competenti nel campo, desidero invece sottolineare il ruolo energico e costruttivo che il P. Loffreda ha avuto nello sviluppo e nella istituzionalizzazione dello Studium Biblicum. Il lungo arco temporale della sua direzione ha visto il rinnovamento radicale dei programmi di studio, coronato nel 1982 dalla promozione dello Studium a sezione parallela della Facoltà di Teologia del Pontificio Ateneo Antonianum di Roma, e nel 1991 dalla istituzione della nuova sede accademica, distinta dal convento della Flagellazione. Quando egli non era più il direttore, non ha però mai cessato di perseguire la promozione ulteriore dello Studium, così che egli ha potuto celebrare come particolarmente partecipe l’erezione dello Studium a Facoltà di Scienze Bibliche e di Archeologia, riconosciuta con Decreto del 4 settembre 2001 della Congregazione dell’Educazione Cattolica. La nuova qualifica dello Studium Biblicum è un riconoscimento dovuto a generazioni di studiosi, che ad esso hanno dedicato la loro vita, e, in particolare, un riconoscimento al P. Stanislao, che rappresenta alla sua bella età la generazione di quelle magnifiche figure che furono il P. Bellarmino Bagatti, il P. Virgilio Corbo e tanti altri.

I Francescani non fanno chiasso per le loro cose: essi sanno aspettare con fedele umiltà e immutata laboriosità, come vuole la loro Regola. Questo atteggiamento è stato alla fine premiato. Il riconoscimento della Congregazione della S. Sede nei riguardi dello SBF ha un valore storico per l’Ordine, perché essa ha dichiarato apertamente che con tale atto ha compiuto un gesto di fiducia nelle capacità culturali dell’Ordine. L’onore unico che ne viene allo SBF e al Pontificio Ateneo Antonianum diviene di conseguenza una grave responsabilità, alla quale però, io sono convinto, lo Studio gerosolimitano saprà tenere testa. Lo dimostra la buona qualità dei professori della generazione seguente a quella del P. Loffreda. Si spera solo che a tale generazione si accompagni presto quella più giovane di un buon numero di docenti preparati e stabili, che al momento hanno bisogno di un rinforzo generazionale. Ma confidiamo nei nostri patroni in cielo e nella forza di attrazione di figure come quella del P. Stanislao e dei colleghi di facoltà, che ben fanno sperare. Il resto lo deve fare una sapiente strategia culturale dell’Ordine.

Mentre descrivo i motivi della mia gioia per essere qui, mi accorgo che quella distinzione fatta all’inizio tra motivi istituzionali e personali, in realtà trascolora, lasciandoli fondere reciprocamente. Il fatto di essere qui oggi come rettore è indisgiungibile dalla compartecipazione affettiva al benessere accademico della Facoltà di Scienze bibliche, sia in qualità di collega nelle stesse discipline (io sono un biblista) sia in quanto sono stato compagno di studi di alcuni dei suoi docenti e sia, infine, per l’attaccamento che ho nutrito per le sorti dello SBF, specialmente quando ho avuto l’opportunità di collaborare strettamente con l’allora Segretario generale degli Studi dell’Ordine, P. Josè Rodríguez Carballo, oggi nostro Ministro Generale e Gran Cancelliere del PAA, al raggiungimento del traguardo accademico dello SBF.

Gli auguri e le congratulazioni che faccio al P. Stanislao Loffreda vogliono essere un grazie vivissimo per l’esempio che finora ci ha dato e un invito pressante a che, nell’ambito delle sue possibilità, continui a farci dono del suo ministero nel campo delle scienze biblico-archeologiche, dispensando con scienza sapienza e perpetuando quella figura di scriba di cui parla il Signore, che sa trarre da sé per gli altri cose antiche e cose nuove.

 

Prof. Yoram Tsafrir, Direttore della National Library, Gerusalemme
Presentazione del volume One Land — Many Cultures” (Una sola terra, molte culture)

Presentatione. One Land Many Cultures

E’ per me un grande onore e un grande piacere celebrare la pubblicazione di questo splendido volume in onore di un grande archeologo della Terra Santa, padre Stanislao Loffreda. A dire il vero, avrei desiderato essere oggi dall’altro lato di questa sala, e questo sarebbe stato il mio programma — avere cioè un contributo mio in questo bellissimo volume. Di fatto, lo stavo scrivendo quando sono stato chiamato ad assumere il posto di direttore della Biblioteca Nazionale; ed è stato il peso di questo incarico ad impedirmi di completare l’articolo in tempo.

Il nome di Stanislao Loffreda divenne familiare a me e alla mia generazione di giovani archeologi già verso la fine degli anni Sessanta, soprattutto attraverso il suo lavoro a Cafarnao. Nel 1974 apparve il secondo volume degli scavi di Cafarnao, sotto il titolo: Cafarnao II: La ceramica. Con questa opera padre Loffreda guadagnò a buon diritto la reputazione di uno dei più eminenti ceramologi, specialmente del periodo romano-bizantino. Questo suo libro è preso come riferimento e citato ripetutamente in ogni studio sulla ceramica della Palestina e dei paesi vicini nel periodo tardoromano e bizantino. Loffreda continuò e continua tuttora a scavare a Cafarnao, tanto che questo importante villaggio, con la sua chiesa e la sua sinagoga, è oggi praticamente identificato col suo nome. Tra le altre ricerche di padre Loffreda troviamo anche la fortezza di Macheronte in Moab, Gerusalemme, e diversi siti della Galilea quali Magdala, il monte Tabor, Nazareth ed altri. I suoi campi di ricerca sono l’archeologia, l’epigrafia e i testi biblici. La lista bibliografica all’inizio del volume, preparata da padre Claudio Bottini, contiene quasi cento voci, tra libri e articoli, e rappresenta l’ampio panorama della sua produzione durante quasi 40 anni di ricerche. Grande è il suo contributo allo studio del passato della Palestina antica.

Come è naturale nel “mercato di libero scambio” delle idee scientifiche, non tutti sono d’accordo con tutte le sue conclusioni. Io stesso, per esempio, ho sollevato degli interrogativi circa la sua datazione della sinagoga di Cafarnao. Ma posso testimoniare che la base per le mie differenti conclusioni sono i rapporti meticolosamente accurati di padre Loffreda, e la critica è stata sempre congiunta a grande ammirazione per la vastità delle sue conoscenze, la profondità del suo pensiero, e l’alta qualità scientifica del suo metodo critico. Al di sopra di tutto sta la sua devozione allo studio del passato di questa paese, la Terra Unica dalle molte culture.

Leggendo la sua breve biografia all’inizio del volume, ho appreso che entrambi siamo arrivati a Gerusalemme per studiare archeologia nel 1960. Ma mentre io ero uno studente del primo anno, Loffreda aveva già ottenuto i suoi primi titoli accademici in teologia e bibbia e stava per completare il dottorato in teologia biblica. Noi archeologi della Palestina antica dobbiamo gratitudine ai suoi grandi maestri, i padri Saller e Bagatti, e al suo amico e mentore padre Virgilio Corbo, non solo per il loro proprio contributo, ma anche per aver incoraggiato padre Loffreda a dedicare tanto tempo e sforzi allo studio delle antichità palestinesi. Noi archeologi della Palestina antica ringraziamo dunque il nostro amico maggiore, padre Stanislao Loffreda, per i frutti delle sue fatiche, e gli auguriamo molti anni ancora di studio del passato di questo paese.
In verità, l’amore e il fervore per la storia e l’archeologia della Terra Santa sono molto probabilmente il fattore che ha richiamato quasi tre dozzine di studiosi ad offrire i loro contributi a questo volume. Gli editori, Claudio Bottini, Leah Di Segni e Daniel Chrupcala, insieme alla casa editrice, la Franciscan Printing Press, meritano ogni elogio e gratitudine per il loro successo nel raccogliere e presentare questa notevole quantità di studi in un unico volume.

Gli articoli sono sistemati in ordine geografico, da nord a sud. I miei brevi commenti seguiranno l’ordine del volume. Primo viene lo studio di David Adan-Bayewitz sulla cronologia della ceramica comune nel nord della Giudea/Palestina in epoca romana. L’autore discute la cronologia e le origini della ceramica domestica locale in Galilea, usando tra l’altro il metodo dell’analisi neutronica nucleare. Nel 1993 apparve il suo libro sull’argomento; qui egli allarga l’obiettivo del libro, usando materiali provenienti da nuovi scavi ed esplorazioni, quali gli insediamenti e le sinagoghe del Golan e la città di Sefforis. Per quest’ultima, Adan usa la dissertazione di Master di Marva Baluka sul terremoto del 363 e la datazione della produzione ceramica locale. Non c’è bisogno di aggiungere che gli scavi di Loffreda a Cafarnao e in altri siti della Galilea sono ampiamente citati.

Il secondo articolo, di Ermanno Arslan, è pure molto vicino alla sfera d’azione di padre Loffreda. Tratta di un gruppo di monete di piccola denominazione, coniate in Italia e a Salonicco, attribuendole a un pellegrino che avrebbe visitato Magdala nel V secolo. L’ articolo contiene un catalogo dettagliato delle monete.
Mordechai Aviam presenta nuovi materiali provenienti da scavi ed esplorazioni di sette chiese e monasteri nella Galilea occidentale. In un precedente articolo, apparso nel Festshrift dedicato a Virgilio Corbo, Aviam aveva fatto notare che la linea di demarcazione tra insediamenti ebraici e cristiani in Galilea nel periodo bizantino passava per la Galilea centrale. I cristiani si concentravano a occidente, dove chiese e monasteri furono scavati già negli anni Cinquanta. Il presente articolo fornisce un importante supplemento di dati per lo studio dell’insediamento cristiano in Galilea occidentale.
Claudine Dauphin e Sean A. Kingsley discutono i reperti di un vecchio scavo della Dauphin, vale a dire la fattoria ecclesiastica di Shelomi, in Galilea occidentale, nella provincia di Fenicia. Il principale tema trattato è la questione della cronologia della fondazione e dell’abbandono del sito. Gli autori esaminano sia la ceramica che le iscrizioni. Ne risulta che la fattoria, che apparteneva a un monastero, sarebbe stata fondata nel tardo V o all’inizio del VI secolo, e distrutta da un grande incendio nel 614 o poco più tardi, probabilmente nel corso dell’occupazione persiana in Palestina. Il sito fu rioccupato sotto gli Umayadi, tra la metà del VII e la prima metà dell’VIII secolo.
Due altri articoli trattano di una chiesa scoperta a Khirbet esh-Shubeika, nella Galilea occidentale. Danny Syon, che ha condotto lo scavo, descrive la pianta basilicale della chiesa, i mosaici, e altri reperti. La chiesa fu fondata nel VI secolo e Syon identifica altre quattro fasi di occupazione. Le iscrizioni sono pubblicate da Vassilios Tzaferis. La più importante è la più tarda, che riporta la fattura dell’ultimo mosaico all’anno 6293 dalla creazione del mondo, cioè a dire al 785 AD, sotto la dinastia Abbasside. Abbiamo dunque un’altra testimonianza della persistenza della vita cristiana e della costruzione di chiese sotto la dominazione musulmana in Galilea occidentale.
Hamdan Taha pubblica una relazione sulla scoperta di una tomba bizantina tagliata nella roccia nel villaggio di Atara, presso Bir Zeit. La tomba consiste di una stanza centrale circondata su tre lati da arcosolia. Nella tomba sono stati scoperti i resti di 32 persone tra adulti e bambini, per la maggior parte adulti tra i 25 e i 40 anni. La parte principale della relazione è un catalogo e analisi dei numerosi manufatti ceramici, tra cui un gran numero di lucerne, come pure vasellame di vetro, oggetti di metallo e altri di vario genere.

Shahar Batz contribuisce una relazione sullo scavo da lui condotto nel cimitero presso Khirbet Beit Sila, a nord-ovest di Gerusalemme. Qui sono state esplorate otto tombe scavate nella roccia, tra cui un colombario. L’esame dei reperti porta l’autore alla conclusione che il cimitero fu usato da ebrei durante il periodo del Secondo Tempio, e non più tardi della rivolta di Bar Cochba. Successivamente le tombe furono riusate nel periodo bizantino e protoislamico, quando gli abitanti di Khirbet Beit Sila erano cristiani, come è indicato da una chiesa scavata dallo stesso Batz tra le rovine del villaggio.
Un rapporto dettagliato degli scavi condotti a Nebi Samwil, il “Monte della Gioia” dei Crociati, è presentato da Yitzhak Magen e Michael Dadon. La scoperta di resti di un insediamento dell’età del ferro e del periodo persiano induce gli autori a convalidare l’identificazione del sito con Mizpah biblica, già suggerita da W.F. Albright. Gi estesi scavi su una delle più alte cime attorno a Gerusalemme hanno rivelato, oltre al suddetto insediamento del Ferro e del periodo persiano, anche i resti di un insediamento ellenistico pre-asmoneao, e avanzi più tardi del periodo bizantino e protoislamico. Tuttavia i principali resti sul posto appartengono al periodo crociato, quando vi furono costruite una fortezza e una chiesa, più tardi convertita in moschea e in tomba venerata.
Più a sud-est, sulle pendici orientali del monte Scopus e lungo la strada principale che saliva anticamente da Gerico a Gerusalemme, è stato scavato un monastero, che era anche l’ultimo luogo di sosta dei pellegrini che salivano a Gerusalemme. Gli autori dell’articolo, David Amit, Jon Seligman e Irena Zilberbod, ne descrivono i resti, che comprendono tra l’altro un bagno, stalle, ed enormi installazioni per la raccolta dell’acqua piovana. Il monastero fu fondato nel periodo bizantino ma continuò a svilupparsi in quello Umayade. Un’iscrizione in mosaico nell’ala di sud-ovest dice che il lavoro fu compiuto sotto il prete ed igumeno Teodoro e il monaco Ciriaco. Leah Di Segni, che pubblica l’iscrizione, la data al periodo umayade, nel tardo VII o nella prima metà dell’VIII secolo.

Gideon Avni e Jon Seligman presentano importanti scoperte nella chiesa del Santo Sepolcro. Nel corso di scavi nell’area appartenente ai Copti, dove si trovano grandi volte del periodo crociato, a nord della basilica principale, gli autori hanno scoperto una chiesa del periodo protoislamico, e inoltre spessi muri, di superba costruzione, dell’inizio del periodo bizantino, che ritengono aver appartenuto al complesso costantiniano. Una grande sala e una cisterna lì accanto sono interpretati come il battistero del Santo Sepolcro, ricordato da numerose fonti.

Un’altra sorprendente scoperta viene da Gerusalemme. Jodi Magness presenta alla nostra attenzione e discute un grande vaso per libazioni già scoperto e pubblicato nel XIX secolo da Clermont-Ganneau, l’ambasciatore francese e un pioniere dell’ archeologia palestinese. La ricca decorazione a rilievo, rappresentante figure umane, divinità e animali, contiene secondo la Magness simboli mitraici, e il luogo dove il vaso fu trovato sarebbe un Mitreo di Gerusalemme romana, usato particolarmente dai soldati stanziati a Aelia Capitolina. L’autrice suggerisce che il vaso, che segue un tipico prototipo europeo dal punto di vista dello stile e dell’iconografia, sarebbe stato prodotto nella fabbrica militare di ceramica scoperta ai Binianei Haumah, a ovest di Gerusalemme. Se l’interpretazione dell’autrice è corretta, abbiamo un’importante aggiunta alla nostra conoscenza della vita religiosa di Aelia Capitolina.

La famosa chiesa del Cathisma, il “seggio”, ovvero il luogo dove Maria sedette a riposare durante il viaggio per Betlemme, è un edificio ottagonale sulla strada che porta da Gerusalemme a Betlemme. Rina Avner, che ha scavato la chiesa e i suoi annessi, presenta e discute i dati di stratigrafia, architettura e arte, nonchè l’influenza di questa chiesa su altri edifici ottagonali della regione, come la chiesa di Maria Theotokos sul monte Gerizim. L’iscrizione trovata in una delle stanze esterne dell’ottagono è del periodo islamico, ed è letta e interpretata da Leah Di Segni.

Yizhar Hirschfeld, scopritore ed esploratore di molti monasteri del deserto di Giuda, contribuisce un rapporto archelogico sulla laura di Heptastomos, conosciuta dall’opera agiografica di Cirillo di Scitopoli. L’esteso monastero, oggi Khirbet Jinjas, è circondato da un muro ed appartiene al tipo della laura costruita su terreno pianeggiante. Hirschfeld descrive la pianta del monastero, la chiesa e la cisterna. Di particolare interesse è la documentazione delle celle, per lo più unità spaziose composte di uno o due vani e un cortile, sparse nell’area della laura a una distanza tra 35 e 110 metri l’una dall’altra.
Yuval Peleg presenta i risultati dello scavo di caverne funerarie presso Khirbet Alya, a sud di Betlemme. L’articolo include una descrizione delle caverne, accompagnata da pianta e sezione di ciascuna, e una descizione dei reperti, tra cui frammenti di ossuari. Le tombe vennero scavate nel periodo ellenistico tardo e all’inizio del periodo romano, vale a dire all’epoca del Secondo Tempio, e furono nuovamente usate nel periodo tardoromano e bizantino.

Di grande interesse è il rapporto di Guy Stiebel sui militaria dell’Herodion. L’autore, che si specializza in artifatti militari, armi e insegne, analizza una ricca collezione di questo tipo di equipaggiamenti, raccolti negli scavi condotti all’ Herodion, prima da Corbo e più tardi da Netzer. I reperti appartengono sia alla prima che alla seconda rivolta degli ebrei contro i romani. Tra gli artifatti trovamo punte di freccia, proiettili da balista e da fionda, armi, pietre da rotolare, chiodi di sandali o caligae, pugnali e spade eccetera. Per quanto mi risulta, questa è la più ricca collezione mai pubblicata di questo genere di materiale proveniente dalla Giudea.

Yitzhak Magen descrive il temenos di Mamre a Ramet el-Khalil, a nord di Hebron, mettendo in risalto la fase più antica del recinto sacro, risalente al tempo di Erode. In base a misurazioni e studi compiuti da Mader negli anni Venti, Magen presenta una nuova pianta del temenos e la confronta con la struttura erodiana della grotta di Machpela. L’autore sottolinea il significato di questa struttura, come luogo sacro agli edomiti. Resta senza risposta l’interrogativo, se la cinta era vuota o racchiudeva un tempio. Gli edomiti, osserva Magen, sono ancora avvolti nel mistero.
Anna de Vincenz pubblica una lucerna unica del suo genere, trovata a En Gedi, di grandi dimensioni e adorna con figure di animali a rilievo. Amos Kloner e Boaz Zissu presentano una relazione su 14 siti nel nord della Shephelah, dove si sono trovati una ventina di nascondigli sotterranei, che gli autori datano al periodo del Secondo Tempio e principalmente all’epoca della rivolta di Bar Cochba. Eli Shenhav dà un succinto rendiconto del suo scavo a Horvat Hanot, sulla strada principale che portava da Gerusalemme ad Eleutheropolis, descrivendo brevemente la chiesa bizantina e i suoi mosaici, risalenti alla fine del VI secolo. Un’iscrizione greca, discussa da Leah Di Segni, si riferisce probabilmente alla ridecorazione nella chiesa, all’inizio del VII secolo. In base alle descrizioni degli antichi pellegrini Shenhav suggerisce che il sito di Horvat Hanot fosse identificato col luogo dove fu sepolto Golia. Va detto però che la maggior parte degli studiosi ritiene che questo sito dovesse trovarsi molto più a sud-ovest, verso Socho.

Ehud Netzer torna al soggetto delle sinagoghe dell’epoca del Secondo Tempio, con riferimento ai ritrovamenti di Masada, Herodium, Gamla, e alla sinagoga da lui scoperta a Gerico. Netzer discute la recente proposta di Israel L. Levine, che ha suggerito di collegare l’architettura delle sinagoighe primitive con quella delle porte di città, in base al passo di Nehemia, secondo cui la comuinità di Gerusalemme si riuniva presso la Porta dell’Acqua. Netzer preferisce altri modelli architettonici, come le sale di riunione.
Shimon Gibson presenta una rivalutazione della comparsa di vasellame in pietra nel periodo romano antico a Gerusalemme e in Palestina in generale. L’articolo tratta della distribuzione geografica dei vasi di pietra, gli aspetti cronologici, le tecniche di produzione, a mano o al tornio. Vengono discusse anche i vari tipi di vasellame, e la funzione e scopo della fabbricazione in pietra. L’autore giunge alla conclusione rivoluzionaria che la produzione di vasi in pietra divenne commune in Giudea non prima del 50 AD, una ventina d’anni prima della distruzione di Gerusalemme.
I rimanenti articoli del volume hanno come soggetto scoperte in Giordania e in Siria. Michele Piccirillo e Zachariah al Qudah pubblicano i risultati dei loro scavi a Wadi Rajib presso Ajlun, in Girdania, dove sono state scoperte due cappelle adorne di mosaici e di iscrizioni. Inoltre riferiscono la scoperta di una cappella a Qalat Rabad presso Ajlun. Le cappelle sono datate dagli autori al VI e VII secolo. Oltre alle iscrizioni greche, è venuta alla luce anche una lunga iscrizione dedicatoria in aramaico cristo-palestinese, che viene pubblicata da Emile Puech insieme ad altre quattro iscrizioni in cristo-palestinese provenienti da cappelle e monasteri in Giordania. Come è noto, la maggior parte delle iscrizioni in Terra Santa nel periodo bizantino sono in greco, ma la lingua d’uso quotidiano, almeno presso una buona parte della popolazione, era l’aramaico. Queste iscrizioni sono di grande importanza poichè riflettono il linguaggio colloquiale usato in Palestina ed Arabia.

Denis Genequand aumenta la nostra conoscenza di Macheronte in Moab, pubblicando un ipogeo, ovvero una grande tomba sotterranea scavata nella roccia, del periodo erodiano. La tomba consiste di una stanza centrale quadrata con nove loculi lungo tre dei suoi muri. Nei loculi sono stati trovati scheletri intatti di 26 tra adulti e bambini. La ceramica che li accompagna è del periodo romano antico. Il terminus ad quem della tomba è l’anno 72 AD, quando Macheronte fu conquistata dai romani.
Zbigniev Fiema contribuisce un rapporto preliminare dei suoi scavi sulla cima del Jebel Harun, o S. Aronne, presso Petra. La spedizione finlandese, di cui Fiema è uno dei direttori, ha scavato un complesso consistente di chiesa, monastero e centro di pellegrinaggio. Si tratta dunque di un grande contributo alla nostra conoscenza di Petra bizantina. La spedizione ha portato alla luce un vasto complesso sacro e ha studiato la cronologia delle varie fasi del suo uso. Molta attenzione è stata dedicata inoltre allo studio dell’occupazione umana nei dintorni del Jebel Harun.
Due articoli sono dedicati a ritrovamenti bizantini in Siria. Pasquale Castellana pubblica e analizza quattro fonti battesimali provenienti dalla regione di Aleppo, in Siria settentrionale. Tre sono cruciformi e uno poligonale. L’autore li paragona ad altre vasche battesimali dello stesso periodo nella regione, e giunge alla conclusione che il rito battesimale per immersione e quello per infusione coesistevano. Ignacio Peña descrive la sua esplorazione di Batrash, un villaggio bizantino pure in Siria settentrionale. Il sito è caratterizzato da massiccia costruzione in pietra e imponente architettura. L’autore paragona le spaziose abitazioni, le loro piante e le decorazioni cristiane, con altri luoghi ben noti della Siria.

L’ultimo articolo, di Bruno Callegher, è una breve presentazione di un sigillo di piombo, di provenienza ignota, ora al museo dello Studum Biblicum. Da un lato è rappresentata Maria con Gesù Bambino; sul rovescio c’è un’iscrizione greca col nome di Leone Pereno, “magister e dux di tutto l’occidente”. Il sigillo è datato all’XI secolo. Leone Pereno era il governatore militare della parte occidentale dell’impero bizantino, ridotto a quell tempo a parte dell’Italia meridionale e al sud della Grecia.
Questa rassegna è stata abbastanza lunga, ma non rende giustizia ai vari articoli, dato che non riflette la competenza e la dottrina che si trova in ciascuno. Ho la certezza che gli studiosi troveranno molti tesori in questo volume. Noi, studiosi e ricercatori della storia e dell’archeologia di Palestina e del Levante, dobbiamo ringraziare vivamente i singoli autori, come pure gli editori, Bottini, Di Segni e Chrupcala, per aver dato vita a questo Festschrift, così ricco e di tanto alta qualità.

Il titolo del volume, Una sola terra, molte culture, riflette più di quanto si intravede a primo acchito. Non si riferisce soltanto alle varie culture e periodi che sono discussi nelle sue pagine, ma anche alla varietà degli studiosi che vi hanno preso parte. Tra gli autori troviamo francescani e altri cristiani, israeliani e palestinesi, nonchè studiosi di altri paesi. Quello che li unisce tutti è l’amore e il fervore per questa terra, la sua archeologia, la sua la storia e le sue culture. Per alcuni è la Terra Santa, per altri è la terra materna, ma il messaggio è chiaro. La guerra amara e sanguinosa non è la sola maniera di vita in questo paese. Tolleranza e coraggiosa generosità dovrebbero essere scelti come un’opzione migliore. Questo è il volto umano dello splendido volume in onore di padre Stanislao Loffreda per il suo settantesimo compleanno.

 

Fr. Giovanni Battistelli, Custode di Terra Santa
Saluto finale

Presentatione. One Land Many Cultures

Come primo responsabile della Custodia Francescana di Terra Santa sono lieto di porgere a tutti, amici e confratelli, il mio saluto e il mio ringraziamento per aver accolto l’invito nostro e dello Studium Biblicum Franciscanum a questo incontro.

Non so se padre Frediano Giannini († 1939) che cento anni fa era al mio posto e che ideò la Scuola biblica francescana e la aprì proprio qui nel convento di San Salvatore sognava un giorno come questo.

So invece che un altro mio illustre predecessore, padre Ferdinando Diotallevi († 1958), che ottanta anni fa iniziò l’Istituto Biblico Francescano nel convento della Flagellazione, annotava nel suo diario: “Con l’apertura di detta scuola si soddisfa ad un vero bisogno della Custodia” (F. Diotallevi. Diario di Terra Santa, a cura di D. Fabrizio, Milano 2002, 412). E in una breve cronaca sulla rivista La Terra Santa scriveva: “Lo Studio si apre con pochi professori… e pochi studenti… ma chi vorrà giudicare il meriggio dal primo levar del sole? Forse non tutte le vette sono state illuminate” (La Terra Santa 4 [1924] 20).

Settanta anni fa – quando il nostro caro padre Stanislao Loffreda era nato da poco – la Custodia di Terra Santa affidava allo Studium Biblicum Franciscanum il primo scavo archeologico sul Monte Nebo! Alla storia archeologica del Memoriale di Mosè Profeta sono legati i nomi dei nostri illustri confratelli scomparsi padre Sylvester Saller, padre Bellarmino Bagatti e padre Virgilio Corbo.

Come sapete, al Monte Nebo Custodia di Terra Santa e Studium Biblicum dopo settanta anni sono ancora fortemente impegnati con padre Michele Piccirillo e i suoi collaboratori. E l’opera che è stata presentata è una prova di quanta strada abbia compiuto la modesta istituzione culturale voluta e sostenuta dalla Custodia di Terra Santa e divenuta con il tempo Facoltà di Scienze bibliche e di Archeologia.

Aveva proprio ragione padre Diotallevi che non bisognava giudicare il futuro dello Studium dai suoi umili inizi!

E tutto ciò in un periodo di grandi trasformazioni socio-politiche per l’intera regione del Medio Oriente. Come Custode di Terra Santa, istituzione presente con persone e case in Israele, Territori dell’Autonomia Palestinese, Giordania, Libano, Siria, Rodi, Cipro, Italia, Spagna e Stati Uniti ho molto gioito nel vedere che alla miscellanea in onore di padre Loffreda hanno collaborato archeologi e studiosi provenienti o operanti in questi paesi e tutti in modo o l’altro legati alla Terra Santa. Ci pare di poter dire senza presunzione che, sostenendo in vari modi lo Studium Biblicum e sponsorizzando la presente impegnativa pubblicazione, la Custodia continua a rendere anche un modesto servizio culturale a questa Terra Santa e alle sue popolazioni. La palestinologia fa parte della nostra plurisecolare tradizione. Osiamo sperare che questo risulti anche un servizio alla pace e alla riconciliazione in queste terre e in questa città santa di Gerusalemme, dove popoli, fedi religiose e tradizioni diverse sono chiamate a vivere nel rispetto reciproco e in pace.

I miei rallegramenti per padre Loffreda però non si restringono a questa motivazione, per così dire, di ecumenismo culturale o archeologico a cui ha datto occasione il libro in suo onore. Più della metà dei suoi settanta anni padre Stanislao li ha donati alla Terra Santa lavorando, pubblicando e insegnando nell’ambito della Custodia di Terra Santa. Per questo, anche a nome del Governo della Custodia e di tutti i confratelli, gli esprimo sentimenti di stima e di gratitudine.

Colgo l’occasione per augurare a professori e studenti della nostra Facoltà un sereno e fecondo anno accademico.

A tutti grazie e l’augurio francescano di Pace e Bene.