Har Karkom e Mosè
Prof. don Michelangelo Priotto
Trascrizione della riflessione offerta dopo l'escursione ad Har Karkom il 30 marzo 2019
(Dopo aver visto ed essere saliti su questo monte), sono contento di condividere con voi quanto ho pensato, che è opinabile e che deriva anche dallo studio dell’Esodo.
Credo che siano due i punti fondamentali a cui rispondere.
Il primo punto riguarda la questione storica: Mosè è un personaggio storico oppure no?
Dico questo perché siamo sollecitati a una risposta a questa domanda sia da Anati – evidentemente Anati crede nella storicità di Mosè e addirittura lo pone nel 2000 a.C. – sia da una moda recente purtroppo estesa anche in ambienti cattolici che tende o a negare la storicità di Mosè ritenendola una figura prodotta e proiettata nel passato di Israele dal gruppo sacerdotale dirigente della diaspora babilonese.
Accanto a questa posizione ce n’è pure un’altra, abbastanza diffusa, che non nega esplicitamente la storicità di Mosè, ma vi lascia molto dubbio: una posizione scettica di chi non si esprime ma che evidentemente non opta per la storicità del leader israelita.
Il secondo punto altrettanto importante è rispondere alla domanda: chi ha scritto l’Esodo? Cioè quando e come avviene la redazione dell’Esodo?
Perché, se supponiamo che il redattore abbia avuto l’intelligenza e la fortuna di vedere Har Karkom e di copiarne l’impianto esterno, dobbiamo presupporre che conoscesse il luogo e che ci fossero dei collegamenti tra la sua epoca e questo sito.
Sarò sintetico perché la risposta a queste due domande corrisponderebbe a due corsi; ma almeno alcuni dati importanti seppure sintetici dovrebbero essere approfonditi, perché credo che un’affermazione di principio possa essere difesa.
La storicità di Mosè
È una storicità contestata oggi. Partiamo dalle fonti; bisogna però intenderci prima sulla storicità, su che cosa si intenda per storicità.
La scuola di Roma, ad esempio quella di Garbini e di Liverani, ritiene che un personaggio o un fatto non sia storico se non è documentato da una fonte extra-biblica.
Questo comporta un minimalismo biblico inaccettabile; infatti se noi riteniamo che la storicità dipenda dalla testimonianza di un documento, dobbiamo affermare che Mosè non è storico perché non c’è nessun documento egiziano che dica la sua presenza. L’assenza di un documento non coincide con la non storicità del fatto, ma significa semplicemente che esso non è documentato.
Rimane comunque il fatto della Bibbia, che è un documento; un documento religioso certo (e quindi da trattarsi in un certo modo), ma sempre un documento.
Documentazione egiziana
Circa la documentazione egiziana possiamo affermare questo: non c’è alcuna documentazione circa un eventuale esodo israelitico e non c’è alcuna documentazione circa la vita di Mosè.
Detto questo, proprio in base al principio che non si può ridurre la storicità alla sola documentazione extra-biblica, bisogna affermare che ci sono alcuni indizi. Non sono prove ma indizi, che fanno riflettere e a cui bisogna comunque dare una risposta.
1. Il primo indizio è questo. Sappiamo che c’è stata la presenza di semiti in Egitto nel II millennio a.C.
Numerosi testi egiziani del II millennio a.C. menzionano la presenza sul territorio nazionale di stranieri: nubiani, libici, asiatici. Si tratta di commercianti, di prigionieri di guerra, di mano d’opera requisita nei territori controllati dall’Egitto e infine di beduini in cerca di pascoli migliori.
Ricordo soltanto due testi che mi sembrano significativi. Il primo è il papiro di Leiden 348. Questo papiro riporta un decreto di un ufficiale di Ramses II concernente i lavori di costruzione della nuova capitale Pi-Ramses. Cito letteralmente:
“Distribuite razioni di grano ai soldati e agli hapiru che trasportano pietre al grande pilone di Ramses”.
La problematica circa l’identificazione degli hapiru e il loro rapporto con gli ebrei è complessa. Si tratta verosimilmente della designazione di un gruppo etnico diffuso in tutto il Vicino Oriente Antico a cui potrebbero anche appartenere gruppi israelitici. La radicale è la medesima del termine "ebrei".
Sebbene il papiro non costituisca una prova della presenza di una manovalanza israelitica nei lavori di costruzione di Pi-Ramses è tuttavia un reale indizio di questa possibilità.
2. Il secondo indizio deriva dal papiro Anastasi 5. La presenza di gruppi semitici in Egitto non è il risultato di una frontiera aperta, perché i papiri attestano che nella seconda metà del XIII secolo a.C. il confine orientale era strettamente controllato. Un papiro chiamato Anastasi 6 descrive il passaggio in Egitto di un’intera tribù proveniente da Edom a causa di una siccità, un passaggio autorizzato.
Il papiro Anastasi 5 datato alla fine del XIII secolo a.C. riporta la fuga di due schiavi in servizio alla residenza faraonica di Pi-Ramses. Lo scrittore della lettera è un alto funzionario dell’esercito a cui è stato ordinato di catturare i fuggitivi e di riportarli in Egitto.
Le analogie con l’Esodo, sebbene su scala diversa, sono significative: fuga di schiavi, inseguimento di militari, itinerario simile, la fuga notturna, permettono pur nella diversità dei due casi, di affermare, non la prova, ma la verosimiglianza della fuga del gruppo israelitico.
Ancora una osservazione da parte della documentazione egiziana. Abbiamo una forbice cronologica costituita da due dati letterari entro cui collocare l’evento dell’esodo: la stele di Merneptah e l’epistolario di el-Amarna.
La data bassa è costituita dalla stele di Merneptah, nome di un faraone egiziano, datata al 1207-1208 a.C. Essa riporta per la prima volta il nome di Israele, cioè il nome di un gruppo presente in Canaan. La stele commemora la vittoria asiatica di questo faraone, la vittoria su alcune città: Ascalon, Ghezer, Yeno'am, a cui segue la menzione di "Israele", termine che a differenza dei precedenti non porta il segno di un luogo, ma di un gruppo umano.
Quindi sappiamo che verso il 1207 esisteva nella regione centrale di Canaan, nella regione che corrisponde alla Samaria odierna, un gruppo chiamato Israele. Nulla più.
Però questa è la prima documentazione della presenza del gruppo israelitico, gruppo che secondo le fonti bibliche è arrivato da poco tempo dall’Egitto e da una permanenza nelle steppe sinaitiche.
A monte abbiamo le lettere di El-Amarna (1350 circa a.C.). Gli archeologi hanno trovato, grazie a una vecchietta che zappando si imbatte nell’archivio di Amenofi IV, una raccolta di lettere che i "reucci" del Canaan inviavano al faraone, per lagnarsi della rissosità regnante fra questi principi locali.
Si parla ad es. del re di Sichem, di quello di Gerusalemme, di quello di Betlemme, ecc. Non c’è alcuna menzione di Israele, ma è testimoniata una presenza semita in città che verranno poi spesso citate nella letteratura biblica.
Quindi in questa forbice dal 1350 e al 1207 a.C. noi possiamo affermare la possibilità dell’arrivo di un gruppo che si chiamerà più tardi bene Israel, i figli di Israele. Questo per quanto riguarda la documentazione egiziana.
Documentazione biblica
Poi abbiamo la documentazione biblica. Non bisogna avere dei pregiudizi. La Bibbia è un documento; è un documento religioso, ma sempre un documento, da interpretare secondo le categorie religiose e dei redattori; però è un documento al pari di altri.
Il fatto che lo "sponsor" della Bibbia sia JHWH e non sia il faraone, non cambia nulla, perché anche gli altri documenti sono soggettivi. È difficile trovare una stele o un documento extra-biblico obiettivo.
Voi sapete che si riporta sempre l’esempio della la battaglia di Kades dove abbiamo la fortuna di avere due documentazioni: la documentazione hittita e quella egiziana. Questa battaglia secondo la descrizione hittita fu una grande vittoria degli hittiti sugli egiziani. Secondo la descrizione raffigurata sulle pareti di un tempio di Ramses II a Karnak, in Egitto, quella di Kades fu una grande vittoria egiziana, tale da meritare la celebrazione dell’apoteosi del faraone. Se noi avessimo avuto soltanto un solo documento, avremmo giurato sulla sua storicità; ma è evidente che gli artisti celebrino coloro che finanziano.
Detto questo, la Bibbia che cosa ci dice? Prescindendo dal racconto di Esodo, abbiamo una documentazione importante in Osea, un profeta che ci riporta al VIII secolo ed è una testimonianza valida, perché è molto critico della monarchia.
È vero che alcuni commentatori affermano che queste attestazioni non sono originali, ri-scrizione degli ambienti giudaici di Gerusalemme, quando il Regno del nord non esisteva più e le sue tradizioni venivano giudaizzate. Però questo non inficia la testimonianza originaria: una rilettura non smentisce la fonte, se mai la testimonia, pur interpretandola.
Ora Osea, come ricorda l’antenato Giacobbe in modo critico, così ricorda, ma positivamente, Mosè e l’evento dell’esodo: come per mano di Mosè Israele fu salvato. Al capitolo 11 richiama esplicitamente l’esodo, quando dice: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”.
Anche la parentela madianita di Mosè è una documentazione importante; la Bibbia ripetutamente ricorda questa parentela e il soggiorno madianita di Mosè, sebbene non precisi l’ubicazione di Madian.
Ricordando un lungo soggiorno di Mosè presso Madian, chiama il suocero “il” sacerdote di Madian; non “un” ma “il” sacerdote di Madian.
Mosè cresce in un ambiente religioso ed è qui che gli matura l’esperienza di JHWH; non di un Dio qualunque e generico, ma del Dio proprio di Israele.
È molto facile affermare che JHWH corrisponda semplicemente a una delle divinità del Vicino Oriente Antico prima dell’esilio e che quindi Israele sarebbe esattamente uguale a uno dei popoli circonvicini: edomiti, moabiti, ecc.
No! perché si tratta di un nome designante un Dio vero, la cui origine viene dal sud, come ricordano ripetutamente molti testi biblici antichi, come il cantico di Deborah, che dice: “ze Sinai”, questo è il Dio che viene dal Sinai, dal sud. Abacuc da parte sua ricorda che "il nostro Dio viene da Teman" e Teman è di nuovo una località del sud.
Abbiamo anche una interessante documentazione a Quntillet Ajrud dove sono state trovate delle iscrizioni in un caravanserraglio. Qutillet Ajrud è una località del sud che si trova tra Kadesh Barnea e Paran, frequentata da commercianti. In alcune iscrizioni leggiamo che i commercianti di Samaria parlano di JHWH di Samaria e parlano contemporaneamente di JHWH di Teman, di JHWH del sud. Significa che nel VIII secolo, siamo circa verso il 750 a.C., nel Regno del nord si ricordava la provenienza del culto di JHWH dal sud.
Si potrebbero ancora aggiungere nuovi elementi a partire dal nome di Mosè. La Bibbia parla di Moshè, che sappiamo essere un nome teoforico mutilato, perché manca il nome del dio, sul modello di altri nomi teoforici egiziani: Tut-mosis, Ah-mosis, Ra-mosis (Ramses). Nel caso del nome "Mosè" è evidentemente caduto il prefisso del nome del dio che qualificava il nome di Mosè. Sarebbe proprio strano che i sacerdoti ebrei puristi che si trovavano in Babilonia avessero scelto un nome egiziano per il leader incontrastato delle religione ebraica e per di più un nome teoforico.
Infine c’è la documentazione archeologica di Pitom e Ramses, città citate in Es 1. Nonostante la discussione tra gli archeologi circa l’esatta ubicazione di queste città, si tratta di città del Delta egiziano, al tempo di Ramses.
Partendo dalla testimonianza di Osea all’VIII secolo, potremmo ancora domandarci se sia possibile risalire ancora indietro fino alla supposta cronologia del XIII secolo. Ricorderei soltanto due fatti: Geroboamo I, (siamo nel X secolo) quando prende in mano il potere del Regno del nord, istituisce due santuari, Betel e Dan, dove si venera JHWH ma sotto il simulacro del toro.
Se noi leggiamo attentamente il testo biblico, Geroboamo non fa cambiare religione, tanto più in un momento così delicato come era quello della divisione dei due regni; far cambiare religione a un popolo è un fatto molto difficile se non impossibile. Questo vitello d’oro devia da una prassi o meglio da una corrente più rigorista (aniconica), per il fatto che rappresenta il bue o il torello come simbolo di fertilità: JHWH è colui che ci dà la vita ed è esattamente il corrispondente all’episodio di Aronne e del popolo ai piedi della montagna sacra.
Qualcuno afferma che la tradizione esodica è stata influenzata o dipende dal racconto di Geroboamo; ma questa è un’affermazione gratuita, anche perché l’opera deuteronomistica a cui appartengono anche i due libri dei Re è abbastanza recente. Ora nel Regno del nord c’era il culto di JHWH relativo a Mosè e questo è un dato di fatto importante. Poi c’è un fatto ancor più importante ed è la festa di Pasqua, una festa familiare, che può prolungarsi per i secoli, nella quale si fa la memoria di Mosè e dell’Esodo. Quindi non c’è alcun motivo per dubitare che un’antica tradizione rimanga viva prima di essere messa per iscritto.
Una somma di indizi
Tutti questi fatti non sono delle prove, ma sono una somma di indizi che fanno pensare alla storicità di Mosè e dell’Esodo, mentre altre teorie, seppur belle, sono campate in aria, come le due teorie di alcuni storici israeliani.
Una teoria sostiene che la liberazione dal giogo politico dell’Egitto nel XII secolo, dovuta al fatto che l’Egitto entra in una fase depressiva e quindi non bada più ai possedimenti asiatici, viene interpretata come una vittoria dei Cananei, i quali raffigurano poi questa vittoria con la leggenda dell’Esodo. È un po’ strano.
Oppure si difende un’altra ipotesi: il cosiddetto Esodo non sarebbe altro che la liberazione dei servi della gleba, di questi poveracci semiti che erano alle dipendenze dei re cananei dello Sharon; essi si sarebbero liberati, rifugiandosi sulle montagne non ancora popolate della Giudea e della Samaria. Questa liberazione viene interpretata come liberazione dall’Egitto, perché queste città della costa sono sotto l’Egitto.
Si tratta di ipotesi fatte a tavolino. Mi sembra di poter dire, seppur con cautela, che l’Esodo e la personalità di Mosè corrispondano a dei fatti storici. Poi certo, bisogna leggere il testo come testo religioso.
Le dodici stele
Faccio ancora un’osservazione: non ho nulla contro le 12 stele che abbiamo visto ai piedi della montagna, però, a cominciare dai 600 mila ebrei che escono dall’Egitto senza contare donne e bambini, voi immaginate che il deserto (che abbiamo attraversato) possa dar da mangiare a un tale accampamento?
C’è un bizzarro esegeta americano che ha contato che, se fossero stati 600 mila con donne e bambini, la carovana sarebbe stata lunga 78 chilometri. Gli storici, come ad esempio Lemaire, un buon storico ed epigrafista mediorientale, parla di un gruppo di 2000 persone, che sono già tante. Oppure, siccome "elef", oltre che "mille" significa anche "famiglia", si interpreta 600 mila come 600 famiglie.
Quindi è impossibile pensare al popolo, che non esiste ancora. Il popolo comincerà poi lentamente, dopo la pace e l’alleanza di Sichem (Giosuè 24), dove il gruppo proveniente dall’Egitto, dal sud, i «bene Yisrael» si ricongiunge con gli altri gruppi israelitici, i «bene Yaakov», non scesi in Egitto e rimasti in Canaan. A Sichem si fa un’alleanza di tipo religioso, un’alleanza molto fragile. Le dodici tribù non esistono ancora.
Che ci siano 12 stele è vero e che abbiano un significato religioso è molto verosimile, essendo il numero 12 un numero simbolico; ma che sia il segno delle 12 tribù israelitiche è molto discutibile.
La redazione del libro dell’Esodo
Il secondo punto è: quando è stato redatto il libro dell’Esodo? È possibile che la redazione del libro sia avvenuta durante l’esilio e abbia attinto da Har Karkom l’ambientazione del racconto sinaitico?
Questo comporterebbe la conoscenza e la frequentazione di Har Karkom da parte dei sacerdoti che sono a capo della redazione esodale. C’erano dei rapporti fra la diaspora babilonese e il profondo sud giudaico, in particolare con la montagna di Har Karkom? Non sembra.
A parte questo, sappiamo che la questione della redazione del Pentateuco non solo è molto intricata, ma anche soggetta a profondi cambiamenti, soprattutto in questi ultimi decenni. Le ipotesi non mancano, ma anche la frustrazione!
Un punto fermo è questo: la componente sacerdotale dell’esilio ha avuto un ruolo fortissimo nella redazione del Pentateuco. I sacerdoti dell’esilio e del post-esilio, quando non era ancora stato ricostruito il tempio e quando vedevano che il tempio era ostaggio del potere politico, volevano avere un punto fermo per la tradizione del popolo e la loro grande intuizione è stata quella di ricollegare l’identità del popolo non alla monarchia, come in tutto il Medio Oriente, ma a un filone profetico, al profetismo di Mosè. Questa è stata una rivoluzione, perché l’Israele pre-esilico dipendeva molto dalla monarchia davidica, dall’indipendenza politica, dalla dinastia e dalla razza. Questo JHWH era il Dio di Israele, un Dio etnico. Nella crisi grandissima dell’esilio questi fondamenti scompaiono. Ciò avrebbe anche significato la scomparsa di Israele come popolo di Dio? No!, proprio perché non ci si rifà più alla monarchia e a Davide, ma a Mosè, che è pre-davidico.
È rifacendosi dunque alla profezia e alla rivelazione sinaitica che si scopre la vera identità di Israele. Israele sarà una comunità e non più una nazione etnica, con un proprio re e territorio, bensì la comunità di coloro che credono in JHWH; di qui la scelta di Abramo come padre della fede e di Mosè, come colui che istituisce di fatto la religione ebraica.
Detto questo bisogna rispondere alla domanda: ma questi sacerdoti ebrei di Babilonia – c’è tutto l’apporto del Deuteronomio nel post-esilio – su che cosa si sono basati?
Chiaramente sulle tradizioni: non hanno inventato la figura dei patriarchi e la figura di Mosè. È chiaro che per la figura di Abramo e per la figura di Giacobbe hanno fatto riferimento a quelle tradizioni che ricordavano Abramo al sud, in particolare la tradizione abramitica di Hebron, e Giacobbe al nord, in particolare alla tradizione di Sichem. Per Mosè hanno fatto riferimento soprattutto alla tradizione del Regno del nord: è lì nel nord che la tradizione dell’esodo si era meglio conservata.
Mentre nel sud, nel Regno di Giuda, fioriva soprattutto la teologia di Sion, la teologia davidico-messianica, e meno quella esodale, al nord era invece Giacobbe ad essere ricordato e poi Mosè.
D’altronde la tomba di Mosè si trova nel nord e quindi diventano significativi le testimonianze delle iscrizioni di Quntillet Ajrud, che attestano come i commercianti di passaggio di Samaria incidessero sulle pareti del caravanserraglio invocazioni a JHWH.
Penso che i sacerdoti di Babilonia abbiano attinto probabilmente già a una tradizione scritta, perché faccio questo paragone. A Babilonia hanno certamente attinto alle tradizioni mitiche babilonesi per il diluvio e per la creazione, ad esempio al mito di Gilgamesh, certamente attingendo e riscrivendo il mito dal punto di vista di JHWH, cioè dal punto di vista monoteista, il loro grande apporto. E perché non avrebbero potuto fare altrettanto con le tradizioni che erano al nord?
Però hanno rielaborato questa tradizione scritta nel senso che hanno contestualizzato tutta l’esperienza esodale dal Sinai, in un rigoroso quadro cronologico, dal valore soprattutto teologico. Se leggete il Pentateuco notate che dal capitolo 19 dell’Esodo fino al capitolo 10 di Numeri il Sitz im Leben o milieau è ai piedi del monte: due anni sono rimasti lì, due anni direi teologici. Questo permette al redattore sacerdotale di includere tutta la legislazione dell’Esodo, del Levitico e dei primi 10 capitoli del libro dei Numeri al Sinai.
Questa è stata una grande intuizione perché erano i primi consapevoli a sapere che i dettagli della legislazione non potevano essere attribuiti a dei nomadi.
Qualcuno ha cercato le tracce del santuario sulla montagna, ma ciò che vede Mosè è un tabnit, un disegno. Discutono gli esegeti se vede un disegno celeste o meno, un progetto diremmo noi, un progetto che riflette la ricostruzione del tempio post-esilico.
Voi immaginate che dei beduini discutano su quale tipo di porpora debba essere usato per la confezione del velo del santuario?
Quindi, concludendo, a me pare che questi sacerdoti della fonte P abbiano attinto alla tradizione del nord, che conservava volentieri il ricordo e la memoria di Mosè, sapendo che era necessaria una rilettura pastorale. Infatti i sacerdoti scrivono non per fare anzitutto un’opera storica ma per la loro gente, per riattivare la fede in JHWH.
Allora è comprensibile che dicano che 600 mila attraversarono il mare. Sono gli adulti della fede, sono tutto il popolo che nella celebrazione pasquale deve attraversare il mare. È normale allora che nel piccolo gruppo israelita di Mosè vedano già le 12 future tribù; è normale che ogni futuro cambiamento di legislazione debba sempre essere fatto non secondo le condizioni storico-economiche, ma secondo lo spirito del Sinai, sempre; da qui la conservazione di tutta la legislazione.
Mentre noi siamo abituati al fatto che, quando il parlamento approva una legge automaticamente quella precedente decade, la Bibbia conserva tutte le leggi, anche se sono obsolete o sembrano obsolete; esse però hanno nutrito la fede di generazioni di persone. Quindi è giusto che rimangano, tanto più che anche per il futuro potrebbero essere riprese sotto forme diverse e riattualizzate.
Si comprende dunque la concentrazione di tutta la legislazione al Sinai. Quindi il redattore sacerdotale ha attinto a una tradizione precedente, che mi sembra non soltanto orale ma anche scritta, e la rielabora.
Allora se noi potessimo – e qui potrebbe essere una bella ricerca dottorale – se noi potessimo stabilire dei collegamenti tra la diaspora babilonese e la prima generazione post-esilica con Har Karkom, non avrei difficoltà ad accettare che nella riscrittura della tradizione esodica si fosse potuto attingere a questo impianto meraviglioso del sito di Har Karkom. Bisognerebbe però studiare i rapporti dell’Israele esilico e post-esilico con questa area meridionale.
Foto nr. 1: Webscribe (CC BY-SA 3.0); foto nr. 2 e 3: M. Luca.