S. Messa di apertura dell'Anno Accademico 2023/2024

Giovedì 5 ottobre 2023 nella chiesa di San Salvatore a Gerusalemme è stata celebrata la S. Messa di inaugurazione dell’Anno Accademico 2023-2024, presieduta da S.E.R. Mons. Rafic Nahra, Vicario patriarcale per Israele e Vescovo ausiliare del Patriarcato latino di Gerusalemme, alla presenza di docenti e studenti dello Studium Theologicum Jerosolymitanum e dello Studium Biblicum Franciscanum.

Con la solenne celebrazione eucaristica si è aperto l'anno del centenario della fondazione dello SBF.

Foto: CTS e SBF

Omelia di S.E.R. Mons. Nahra

Letture: Ne 8,1-12; Sal 18 (19); Lc 10,1-12

È bello che, per la Messa d’inaugurazione del vostro nuovo anno accademico, abbiamo un Vangelo che parla della missione. Questa aiuta a capire il vero senso degli studi teologici che state facendo o intraprendendo.

Quando sono arrivato in Terra Santa nel 2004, come prete, per riprendere gli studi dopo 10 anni di ministero sacerdotale, era scritto sulla mia lettera di nomina “missione di studi”. Queste due parole messe insieme (“missione” e “studi”) mi davano da pensare... Intuitivamente capivo la missione nel senso di essere mandato in una parrocchia, in un ospedale, a un gruppo di giovani, a persone anziane etc., per portare loro il Vangelo, celebrare con loro i sacramenti e fare tutto quello che un prete deve fare, ma in realtà la “missione” non si limita a questo. La “missione” significa essenzialmente essere mandati, così come Gesù nel Vangelo manda i settantadue (cioè un gruppo importante di discepoli che credono in lui, non solo i dodici apostoli).

Oggi, qui, è Gesù che manda voi, professori, a trasmettere agli studenti l’intelligenza della fede o, per dire le cose diversamente, trasmettere agli studenti l’intelligenza della loro vita alla luce della fede in Gesù Cristo. Ma anche a voi studenti, è Gesù che vi dà la missione di studiare: forse qualcuno penserà che il Custode o il Vescovo lo ha mandato, qualcun altro penserà che viene di propria iniziativa per tale o tale corso, ma ricordiamo che attraverso gli intermediari umani è Gesù stesso che ci manifesta la sua volontà. In realtà, è il desiderio della missione che darà al vostro studio il suo pieno significato, perché quando lo studio è fatto con un vero desiderio (è questo il senso del verbo latino studeo: applicarsi, studiare, aspirare, desiderare), ci trasforma interiormente in amici di Gesù, e ci rende capaci di riflettere il suo volto con le nostre parole e il nostro modo di vivere.

Nel Vangelo, quando Gesù manda i settantadue, fissa loro alcune regole:
- li invia a due a due;
- chiede loro una forma di povertà: non portate borsa, né sacco, né sandali;
- chiede loro di portare la pace agli altri: in qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”.

In questa casa francescana, non possiamo non notare il colore francescano di questa indicazioni. Questo vangelo è sicuramente uno dei testi che hanno ispirato fortemente San Francesco nella sua spiritualità.

A due a due: è bello non fare gli studi ognuno da solo, ma condividere, ascoltare gli altri che ci fanno scoprire opinioni diverse e ci aprono davanti orizzonti nuovi.

Portare la pace: mi ricordo come, quando studiavo a Roma, i seminaristi litigavano ogni tanto e sparlavano di altri a causa di convinzioni teologiche, e di pratiche liturgiche... etc. Un segno della presenza dello Spirito di Dio in noi è la pace che abbiamo la missione di custodire nel nostro cuore per poi trasmetterla agli altri.

La povertà: custodire l’umiltà e la povertà dello spirito anche se diventiamo ricchi di sapere. San Francesco era abitato da questa convinzione.

Un altro punto importante. Al momento di mandarli in missione, Gesù dice ai settantadue: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!”. Cioè Gesù chiede loro di considerare bene quello che devono fare prima di buttarsi a capofitto nel lavoro. Nel vangelo di Giovanni (Gv 4,35), Gesù dice ai discepoli: “alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura.”

Per voi, particolarmente, che adesso avete la missione di studiare, le parole di Gesù vi ricordano che non basta guardare i libri per prepararsi alla missione che Dio ci affida; bisogna imparare a guardare il mondo in cui viviamo per cercare di capire le sfide di oggi e preparci a affrontarle; imparare anche a guardare le persone attorno a noi, non con uno sguardo di curiosità per vedere come sono vestiti o guardare a cosa rassomigliano..., ma guardarli per capirli. C’è bisogno di una conversione dello sguardo. Il nostro mondo attira il nostro sguardo verso tante cose che sollecitano i nostri sensi e ci distraggono dall'essenziale. È una grazia da chiedere, quella di saper guardare gli altri con amore e vero interesse. Ma ci vuole un cuore purificato. Il cuore puro è capace di vedere Dio, come dice Gesù nelle beatitudini, perchè è libero interiormente da tutti gli attaccamenti esagerati che ci rubano la nostra libertà e ci chiudono sui nostri interessi propri al posto di guardare quelli degli altri, come diceva la seconda lettura di domenica scorsa.

Mi fermo adesso sulla prima lettura di oggi che ci ricorda una realtà centrale per noi tutti: la Parola di Dio. Vediamo nel libro di Nehemia tutto il popolo di Dio (l’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere), radunati Il primo giorno del settimo mese, cioè a Rosh ha-Shanah secondo il calendario dell’epoca. Esdra apre il libro della legge di Mosè per leggere, e il popolo esprime la sua venerazione alla parola di Dio: “Come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore”.

Poi, durante la lettura, siccome la Parola di Dio è difficile, i Leviti spiegano al popolo; e alla fine della lettura, tutti sono invitati a celebrare con gioia.

Alla luce di questo testo, voglio sottolineare e ricordare due cose.

- Il concilio Vaticano II chiede che lo studio delle sacre pagine (cioè la Parola di Dio) sia come l’anima della sacra teologia (DV 24). Quindi bisogna ribadire l’importanza dello studio della Parola di Dio, ma sorge la domanda: come studiare la Parola? Quando vivevo a Parigi, ho sentito diverse volte Mons. Claude Fricard, che era vescovo ausiliare di Parigi, dire che noi cristiani non siamo un “popolo del libro” come gli altri ci chiamano. La Parola di Dio per noi non è un libro, ma è Gesù stesso, il Verbo Incarnato. È Gesù che ci apre il libro meraviglioso della Bibbia, Antico e Nuovo Testamento. Perché dico questo? Perché, per noi Cristiani, lo studio della Parola di Dio non può essere distaccato da una vita di preghiera e da una relazione viva col Signore Gesù. Altrimenti, il libro diventa secco, e lo studio della Parola di Dio diventa un attività intellettuale che non cambia la vita.

- La seconda cosa è il rapporto tra “Parola di Dio” e “Liturgia” nel testo che abbiamo sentito. Mi ricordo di aver avuto periodi in cui, come prete, avevo poche occasioni di predicare, quindi mi sforzavo meno di leggere le letture del giorno, e poco a poco sentivo di allontanarmi dalla Parola di Dio ... Ricordiamoci che il contatto quotidiano con la Parola di Dio nella Liturgia è una occasione straordinaria, offerta a noi, di nutrirci di questa Parola.

Il mio augurio per voi, in questo anno in cui celebrate il centenario della fondazione dello SBF, è di sperimentare la gioia che suscita la ricerca di Dio e la frequentazione quotidiana della Parola di Dio, soprattutto in questa Terra dove Dio ha scelto di fare abitare in modo particolare il suo Nome e la sua Parola.

 

Discorso del Decano fr. Rosario Pierri al termie della celebrazione

Vorrei ringraziare S. Ecc. Mons. Rafic Nahra, Vicario patriarcale per Israele e Vescovo ausiliare del Patriarcato latino di Gerusalemme, per avere accettato l’invito a presiedere la messa inaugurale del nuovo anno accademico della nostra Facoltà.

È un anno speciale quello che ci accingiamo a vivere. Benché in questo momento siano riuniti i due rami che compongono la nostra Facoltà, STJ e SBF, non credo sia fuori luogo concentrare l’attenzione sullo Studium, per ricordare che lo SBF iniziò la sua attività come centro di studi con l’anno accademico 1923-1924. Da allora ha operato ininterrottamente, salvo il periodo della seconda guerra mondiale, fino ad oggi. Proprio quest’anno ricorre il suo primo centenario (1924-2024).

Fare memoria vuol dire non solo farsi conoscere e riconoscere per ciò che si è, che è un aspetto sì importante, ma tutto sommato secondario, almeno per chi vi parla, per la vita della nostra scuola. Commemorare è soprattutto riflettere sulla propria identità; ripensare le ragioni per cui lo SBF fu ideato e l’opera che questa scuola ha saputo realizzare nel tempo e il seme che ha sparso nel mondo con le ricerche archeologiche ed esegetiche e, non lo si dimentichi, con la formazione di generazioni di studiosi di Sacra Scrittura. Un rapido pensiero al ruolo che svolgono i siti scavati dai nostri archeologici nel tempo, ci fa capire la portata della missione dello SBF.

Non pretendiamo di essere stati determinanti per la designazione di alcuni nostri ex studenti a incarichi e servizi ecclesiali di grande responsabilità, ma non è neppure trascurabile che nella loro formazione, come loro stessi hanno ammesso, gli anni trascorsi a Gerusalemme, ovvero presso lo SBF, sono stati fondamentali.

Lo SBF è stato ideato (1901) e fondato dalla CTS (1924), e questa sua origine ne ha segnato la storia, garantendone l’attività e anche la preziosa indipendenza. Sostenere, tuttavia, che tutto sia nato in quegli anni sarebbe da miopi. Solo chi non conosce alcune figure del passato, per fare dei nomi, come i frati francescani Bernardino Amico e Francesco Quaresmi, può pensare che lo SBF sia nato fondamentalmente in funzione apologetica, in risposta alla crescente concorrenza sul campo di centri di studio dotati di ben più consistenti mezzi finanziari e politici. I frati vivevano in Terra Santa da 700 anni e di cose ne sapevano e ne avevano già fatte. Va da sé che questa esperienza secolare non sminuisce l’intuizione di fondare un centro di studi nel XX secolo. Il merito rimane ed è notevole. Con questa breve riflessione si vuole solo sottolineare la tacita ma mirabile continuità tra le attività di ricerca realizzate nei secoli precedenti dai frati della Custodia in vari campi e la nascita dello SBF.

Sarebbe da ingenui e, per dirla con San Francesco, una grave colpa, attribuire a noi stessi la riuscita di quest’opera secolare. Qualcuno dall’alto, a cui solo va dato gloria e onore ha guidato i nostri predecessori e continua ad assisterci nel nostro servizio. Sarebbe buona cosa non dimenticarlo.

Affidiamo, in primo luogo, il nostro servizio nelle mani purissime della Vergine Santissima, che non ci ha mai fatto mancare la sua materna assistenza. A Lei va il nostro più devoto e filiale ringraziamento.

Con la celebrazione di oggi inauguriamo l’anno accademico e del centenario. Non abbiamo pensato a un programma di eventi intenso, per evitare di rendere le attività più frenetiche di quanto non lo siano già.

I prossimi appuntamenti saranno:
1) la Prolusione, l’8 novembre nell’auditorium Maria Immacolata di San Salvatore, organizzata insieme all’Ecole Biblique;
2) un incontro a Roma, il 16 gennaio, in occasione della festa dell’Università;
3) un incontro a Gerusalemme nel mese di maggio;
4) un convegno di ex studenti dottori dello SBF nell’ultima settimana di settembre.

Nell’incontro di maggio sarà presentato il volume commemorativo del centenario, un’opera a cui hanno partecipato gran parte dei docenti dello SBF e professori invitati, che si sono uniti con entusiamo ai primi, dimostrando grande affetto per lo SBF e per la Custodia.

Grazie a voi tutti, professori, studenti e carissimi collaboratori e amici, che avete partecipato a questa celebrazione. Non lavoriamo per noi stessi e per il nostro prestigio, ma per la gloria di Dio, in cammino verso la Verità, che ci viene incontro. L’eucaristia e la preghiera quotidiana siano la fonte a cui attingiamo per dare significato e fondamento al nostro umile servizio.

Auguro a tutti un fecondo e sereno anno accademico.